Il nostro lavoro ci porta necessariamente a contatto con l’intimità psichica e fisica dei pazienti che si trovano in stato di bisogno e di necessità di cure ed assistenza.

L’operatore entra in contatto quotidianamente con il nucleo privato della persona.

L’operatore vive emozioni e sentimenti relativi al contesto nel quale opera ed al vissuto personale riguardo al proprio ruolo professionale.

E’ necessario che l’operatore sia consapevole dei bisogni e delle esigenze degli utenti al fine di provvedere ad accompagnare l’ospite verso la risposta a questi bisogni con comportamenti ed atteggiamenti adeguati. Diviene fondamentale la capacità di osservazione e di ascolto così come l’acquisizione di un comportamento empatico, basato sul rispetto dell’altro e sulla adeguata distanza relazionale.

E’ comunque elemento centrale per un buon rapporto con l’utente la possibilità per l’operatore di saper riconoscere e gestire le emozioni e i sentimenti che vengono suscitati da tale rapporto. La capacità di non negare le proprie emozioni ma, anzi, di riconoscerle, permette di capire che cosa le ha provocate e rende possibile trovare la strategia personale per utilizzarle al meglio nella vita professionale e quotidiana.

Se invece di reprimere le emozioni, o di viverle in termini conflittuali, l’operatore riuscirà a riconoscerle e accettarle, potrà cercare di compiere un processo di integrazione emotiva: potrà cioè, integrare le proprie emozioni con le abilità cognitive elaborando strategie comportamentali più adattive.

Il problema è essere consapevoli di svolgere una professione così delicata dove diventa fondamentale relazionarsi senza intrudere, comunicare senza imporre, accompagnare le azioni con parole, proteggere e creare la giusta condizione per proteggersi.

Ci sembra importante nel nostro lavoro cogliere il bisogno degli operatori di trovare uno spazio capace di ascoltare le emozioni, le difficoltà professionali, gestire le paure. Uno spazio che possa suggerire cosa fare o non fare in quei momenti in cui il rapporto operatore- utente viene messo sotto tensione e a dura prova da più punti di vista. Un percorso centrato sul rapporto operatore-utente che sviluppi sia su una capacità a livello narrativo ma anche a livello di gestione comportamentale.

L’area psichiatrica richiede una particolare predisposizione per entrare in contatto empatico e fisico con il paziente: cardine essenziale di questo tipo di attività.

Il personale operativo (educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica, operatori socio sanitari, psicologi, medici,) “tocca” i pazienti per svolgere compiti di carattere clinico, riabilitativo, di igiene, ma anche per comunicare cura e offrire conforto. Per questi motivi il toccare è, nelle professioni di aiuto, un aspetto integrante e fondamentale della cura stessa.

Il tocco è una forma di stimolazione sensoriale fondamentale per la vita e per l’adattamento sociale della persona, al punto che Morrison (2010) l’ha definito organo sociale per le implicazioni che ha nelle relazioni interpersonali intime (basti pensare alla relazione neonato-madre o a quella tra partners).

In ambito socio-sanitario il contatto, il toccare, può essere strumentale o relazionale. I professionisti vengono generalmente istruiti e formati nel primo, mentre il secondo viene spesso tralasciato, nonostante la maggior parte dei pazienti riferisca che essere toccati su braccia, spalle, ginocchia e mani sia fisicamente ed emotivamente confortante.

Una mancata formazione sul “tocco relazionale” e sulla comunicazione non verbale può portare il professionista ad agire “d’istinto”, ad evitare di usare un tocco empatico e di conforto, o di usarlo anche con pazienti che non ne hanno un buon rapporto e con i quali il tocco può provocare reazioni emotivamente instabili e talvolta intense, sia nel professionista che nel paziente.

In alcuni casi il contatto può dare reazioni emotive negative o inadeguate. Diventa necessario leggere e comprendere questo tipo di linguaggio per poi porsi nel giusto modo di formulazione della risposta.

Lavora CONtatto si pone l’obiettivo di fornire ai partecipanti la possibilità di sperimentare delle tecniche di contatto per familiarizzare con tale canale comunicativo, di apprendere il modo in cui il linguaggio espressivo va ad incidere sulla relazione con il paziente.

PREVEDE DUE INCONTRI DI 1 ORA E MEZZO CIASCUNO PER UN TOTALE DI 3 ORE NEI GIORNI DI:

  • Venerdi 20 Gennaio 2017 dalle 14.00 alle 15.30
  • Venerdi 27 Gennaio 2017 dalle 14.00 alle 15.30

presso la palestra RENSHUKAN TORINO KARATE A.S.D., Via G. Collegno 20/bis Torino.

NEGLI INCONTRI SI PRENDERANNO IN CONSIDERAZIONI LE BASI DI UN CONTATTO FISICO, VALUTANDO:

  • Tipologia del contatto con le sue caratteristiche
  • La prevenzione
  • La postura
  • La distanza
  • L'opposizione
  • La cedevolezza

Direttore tecnico ed istruttore: Michele Magrì

Punti emersi e da approfondire:

  • consapevolezza della posizione del corpo in relazione a se stessi e all’altro
  • sensazione al contatto con l’altro
  • gestione dell’emozione e della percezione dell’altro
  • imparare a sentire e gestire la rabbia e l’aggressività
  • imparare a controllare la rabbia/aggressività e sapere dove e come posizionarsi (il proprio   corpo, il proprio atteggiamento, il proprio pensiero lavorativo…)
  • imparare a trasformare la rabbia/aggressività in qualcos’altro di costruttivo e più funzionale
  • usare la testa e il corpo per gestire la situazione
  • rimodulare la posizione corporea per: a) rispondere in modo proficuo b) agire in sicurezza
  • capire “chi ho di fronte”
  • lettura dell’esperienza a livello psico-fisico

 Incontro conclusivo di elaborazione e restituzione dell’esperienza.

 

Relazione di : Materazzo Marica, tirocinante TRP

I giorni Venerdì 20 e 27 gennaio 2017, presso la palestra “Renshukan Torino Karate”, si sono tenuti due incontri di un’ ora e mezza ciascuno, a cui gli operatori dei G.A. Blu Acqua di C.so Rosselli-Ixilio e Pomaro-Polonghera hanno partecipato.

Lo scopo di questi incontri è stato quello di dare l’opportunità agli operatori di saper riconoscere e gestire le emozioni che emergono in una relazione d’aiuto tra operatore stesso e l’ospite. È fondamentale conoscere sé stessi e le proprie emozioni senza reprimerle o/e negarle e anche quando queste ci sembrano sbagliate, infatti, è bene saperle riconoscere per elaborarle nel miglior modo possibile.

Spesso l’incapacità di non saper gestire le proprie emozioni, porta l’operatore a un senso di rabbia e di frustrazione che si traduce in ambito lavorativo con l’attivazione di comportamenti aggressivi, irascibili e irruenti. Questi aspetti possono turbare gli ospiti dei G.A. e far si che questi a loro volta mettano in atto comportamenti difensivi e litigiosi, sfociando in un circolo vizioso che non vede via d’uscita. La conoscenza di strategie e mezzi utili che disinneschino questa bomba a orologeria, può far evitare l’insorgenza di situazioni incresciose quali violenza , aggressioni fisiche e verbali.

L’operatore dev’essere in grado di rapportarsi con il paziente e con i suoi bisogni e per far ciò è necessario che sia presente un ascolto empatico. Quest’ultimo non dev’essere visto come la riproduzione automatica e incondizionata dei sentimenti dell’altra persona, poiché questo porterebbe al contagio, una condizione in cui si è totalmente immersi e in cui non è possibile trovare soluzioni. Tuttavia, non dev’essere neanche un ascolto logico, ovvero basato solo sui concetti di ciò che riporta la persona con cui ci rapportiamo,piuttosto si parla di un ascolto attivo, ovvero basato sia sui concetti che sulla persona.

Questo tipo di ascolto ci consente di sintonizzarsi sulla stessa onda emotiva della persona con cui ci stiamo rapportando e di conseguenza ci permette di avvertire un’eventuale situazione di pericolo.

In tutte le tipologie di aggressione, infatti, possiamo riconoscere tre elementi caratteristici nei quali si può manifestare un atteggiamento litigioso:

  • Visivo
  • Verbale
  • Contatto fisico

Possiamo notare come un prolungato contatto visivo con una persona in stato di agitazione, viene tradotto dall’altro come un atteggiamento sfidante, il quale alimenta maggiormente il conflitto. Nel caso in cui questo accada, l'attacco fisico è preceduto da un’aggressione verbale che accentua la disputa tra i due soggetti.

Diviene quindi fondamentale imparare a sentire e percepire l’altro e noi stessi, in modo tale da riconoscere la situazione di pericolo e poterla evitare.

Per farlo è importante imparare a pensare in un momento difficile, poiché in questi casi intervengono delle reazioni neurofisiologiche automatiche che attivano a loro volta quello che viene definito “sistema dall’allarme”.

Quest’ultimo si traduce con tre reazioni principali:

  • Attacco
  • Fuga
  • Freezing

In queste situazioni è molto difficile pensare, perché il nostro corpo è programmato per salvarci la vita, quindi la dimensione razionale della corteccia celebrale è messa da parte. Imparare a conoscere le proprie reazioni e il proprio  corpo può permettere di gestire la situazione in modo migliore.

Così uno degli obiettivi del corso è stato quello di aiutare gli operatori a imparare a “sentire” sé stessi e gli altri, trasformando le proprie emozioni in strategie utili per la risoluzione di un eventuale conflitto.

L’inizio della lezione prevedeva una decina di minuti volti al riscaldamento muscolare, seguito da esercizi di coordinazione per imparare a comandare il corpo e per acquisire una maggior consapevolezza del tempo e dello spazio. Uno tra gli esercizi proposti era quello di far perdere l’equilibrio “all’avversario”. Per molti operatori è stato difficile mantenere l’equilibrio e/o farlo perdere all’altra persona. Il Maestro, successivamente, spiegò che l’aspetto fondamentale da tenere in considerazione era di non usare la forza contro l’avversario, ma di accompagnare la spinta dell’altro senza ostacolarla. Inoltre, era necessario spostare il baricentro del proprio corpo e questo era possibile allargando le gambe senza tenerle parallele, ma una davanti all’altra. La figura che veniva usata per meglio rappresentare questa posizione era quella delle due gambe (l’ anteriore destra e la posteriore sinistra o viceversa) della sedia. Un’altra figura utilizzata era quella dell’albero, il quale ha la caratteristica di essere statico, ma allo stesso tempo possiede delle fronde flessibili che gli permettono di non spezzarsi.

Un ulteriore concetto fondamentale che è stato trattato è stato quello della distanza che il soggetto dovrebbe riuscire a creare tra lui e l’aggressore.

Le domande che l’individuo deve porsi in una situazione di pericolo e a cui deve riuscire a rispondere razionalmente sono :

  • In che modo creo distanza tra me e l’avversario?
  • Dove mi trovo?
  • Con chi sono?

Questo mi consente di utilizzare tutto lo spazio nel miglior modo, e se possibile, trovare una via di fuga. Infatti, il Maestro sottolineava che il fine da ricercare non è vincere il conflitto, ma uscire dalla situazione di pericolo.

Durante il corso, inoltre, sono state presentate alcune tecniche di autodifesa in cui gli operatori si sono potuti sperimentare. Questi sono strumenti preziosi che possono aiutare il soggetto quando il conflitto diviene inevitabile.